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Confronto tra due grandi personalità: Immanuel Kant e Hanna Arendt

Le contraddizioni di Immanuel Kant...

...e il coraggio di Hanna Arendt




Chi ha nella vita una impostazione, nel senso di concezione, filosofica ispirata ad un razionalismo critico ovvero di fiducia (nonostante tutto) nelle capacità di analisi ma anche di critica della ragione (della quale si può comunque riconoscere le facoltà ma anche i limiti) può facilmente  essere un ammiratore dei filosofi collocabili in tale ambito, fra i quali i principali e massimi esponenti risultano essere: Aristotele, Kant, Popper e Habermas. L'elogio della ragione lo apprezzo anch'io in Immanuel Kant, ma quello che mi urta di questo filosofo da sempre è la sua indecisione: dice una cosa, poi dice il contrario e poi di nuovo il contrario. Non amo le contraddizioni, tutto qua, specie quando sono troppo frequenti. Già ci sono certi politici di oggi a dire tutto e il contrario di tutto e poi non portare avanti nessun valore... Anche se la maggior parte degli amanti della filosofia non hanno il coraggio di andar contro le sue idee perchè è considerato come una specie di “guru”, qualche piccola eco di scetticismo si è talvolta sentita. Ad esempio, Hannah Arendt ritiene di avere individuato una contraddizione in Kant: "Il progresso indefinito è la legge del genere umano; al tempo stesso, la dignità dell'uomo esige che questi (ogni singolo individuo) sia in quanto tale, nella sua particolarità, visto riflettere -ma oltre ogni comparazione e in una dimensione di atemporalità- la generalità del genere umano. In altri termini, l'idea stessa di progresso -se deve essere qualcosa di più di un mutamento di circostanze e di un miglioramento del mondo- contraddice la nozione kantiana di dignità dell'uomo. E' contrario alla dignità umana credere nel progresso. Progresso significa poi che la storia come trama narrativa non ha mai fine. La sua fine è nella sua infinità. Non vi è alcun punto dove potremmo fermarci e guardare indietro con lo sguardo rivolto al passato dello storico" (Hanna Arendt, op. cit. , p.118).


Hannah Arendt (Linden, 14 ottobre 1906-New York, 4 dicembre 1975) è stata una filosofa, storica e scrittrice tedesca, emigrata negli Stati Uniti d'America, da cui ottenne la cittadinanza. I lavori della Arendt riguardarono la natura del potere, la politica, l'autorità e il totalitarismo. Ad esempio nel suo resoconto del Processo ad Eichmann per il New Yorker (che divenne poi il libro La banalità del male-Eichmann a Gerusalemme, del 1963) Hannah ha sollevato la questione che il male possa non essere radicale: è proprio per l'assenza di radici, di memoria, per il non ritornare cioè sui propri pensieri e sulle proprie azioni mediante un dialogo con se stessi, che persone spesso banali si trasformano in autentici agenti del male, come avvenne nella Germania nazista. La Arendt  scrisse anche Le origini del totalitarismo (1951), in cui tracciò le radici dello stalinismo e del nazismo e le loro connessioni con l'antisemitismo. L'opera però che delinea in maniera esemplare la sua teoria politica venne pubblicata nel 1958 con il titolo Vita Activa. La Condizione umana, in cui ella intende recuperare tutta la portata del politico nella dimensione umana nel tentativo di restituire "una teoria libertaria dell'azione nell'epoca del conformismo sociale"... Io personalmente trovo pesante il tentativo di Kant di analizzare e dividere, tramite la ragione, il campo della ragione stessa, dividendola in tante categorie contraddittorie tra loro: preferisco il pensiero dei filosofi antichi, che analizzavano cose più aeree, quali lo spirito, la religione, il senso della vita, oltre che temi impegnati, nel senso di più realistici, come la politica... Ma non sono una persona che pretende di far cambiare idea a chi la pensa diversamente da me, quindi chi ama Kant io lo rispetto, perché rispetto le idee altrui, anche quando non le condivido... E comunque sia, lunga vita alla filosofia!...

(04/01/2013)
Adele Consolo