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Senza manette: la vita del Maestro racchiusa in un libro

Muore Califano: un grande poeta e una persona sincera

Non escludo il ritorno... si scriverà sulla sua lapide





Il 30 marzo 2013 è scomparso il Maestro Franco Califano, grande poeta e cantautore, all’età di 74 anni, presso la sua villa di Acilia (vicino Roma), a causa di un cancro osseo. Io che ho avuto la fortuna, in qualità di Giornalista, di incontrarlo tre volte, di sentirlo telefonicamente e spesso anche per e-mail per scambiarci gli auguri in occorrenza delle festività, in questo periodo di Santa Pasqua, ne sento la mancanza, ed è per questo che vorrei omaggiarlo con una recensione sulla sua vita e sul un suo libro autobiografico, “Senza manette”, con relativa intervista, che gli feci qualche anno addietro, e cioè l’8 Maggio del 2008.




Franco Califano, detto anche Califfo” (perchè grande seduttore), è nato a Tripoli il 14 settembre 1938,  ed è stato oltre che un celebre cantautore, anche un poeta, scrittore ed attore. La sua famiglia era originaria di Pagani (in provincia di Salerno), ed egli nacque per caso in aereo sul cielo della capitale libica, a quei tempi territorio metropolitano italiano, acquisito con la guerra italo-turca del 1911. Crebbe e visse per molti anni a Roma, ma trascorse otto anni anche a Milano. Arrestato nel 1970 per possesso di stupefacenti, caso in cui fu coinvolto anche Walter Chiari (assolto con formula piena), finì nuovamente in carcere per lo stesso motivo e per porto abusivo di armi nel 1983, ma questa volta insieme al conduttore televisivo Enzo Tortora (assolto con formula piena e caso emblematico di mala giustizia). Scrisse innumerevoli album di successo, ma fu autore anche di splendide canzoni anche per celebri artisti, tra cui: Mina, Mia Martini, Tiromancino, Ornella Vanoni, Peppino di Capri, Bruno Martino, Edoardo Vianello, Vilma Goich, Caterina Caselli... Come scrittore invece pubblicò oltre sia prosa che poesie: Ti perdo (Diario di un uomo da strada), Il cuore nel sesso, Sesso e sentimento, Calisutra e Senza Manette.




Quest’ultima opera letteraria, edita dalla Mondadori e curata solo nella prefazione da Pierluigi Diaco, descrive “in toto” Franco Califano, in un racconto autobiografico, romantico, cinico, a metà tra l'idealismo ed il materialismo. Tante sono le tematiche trattate: sesso, rapporti sentimentali, vizi e musica. Nel libro emerge tutta la carica emotiva di uomo del popolo, nato a Roma, cresciuto in vari collegi e poi scappato da casa (dopo la morte del padre). Tanti sono le difficoltà che Califano si trova ad affrontare nel corso della sua vita, tra cui problemi gravi di salute e, a causa delle sue cattive compagnie, per ben due volte anche la detenzione carceraria. Schietto e amante delle donne, grazie alle sue canzoni (e adesso anche con i suoi libri) il ''Califfo'' è riuscito a conquistare un ruolo importante non solo per il pubblico che lo ha seguito negli anni del suo boom, ma anche per le giovani generazioni, che lo hanno eletto a loro “Maestro”.




Intervista
   
-Maestro Califano, com'è nata l'idea di scrivere il suo nuovo libro, “Senza manette”?

Franco Califano: E’ nata dall’esigenza di scrivere un libro serio dopo tanti miei libri che parlavano prevalentemente di sesso, come il mio penultimo libro, “Calisutra”. Ci lavoro da tanti anni a questo libro, l’ho visto e rivisto varie volte nel tempo perché quando scrivi un qualcosa nel presente e poi la rileggi dopo qualche anno le sensazioni e le emozioni che provi sono diverse…


-Il giornalista che ha collaborato con lei per scrivere il libro, Pierluigi Diaco, quali spunti le ha dato per i suoi argomenti?

F.C.: Pierluigi ha collaborato con me solo nella parte finale del libro, nella
quale ho riportato un’intervista che mi ha fatto lui poco tempo fa.


-Il libro parla di temi seri, quali l’amore, la povertà, la felicità e anche di problemi personali che le hanno segnato la vita. Ha dedicato un intero paragrafo alla Sicilia, parlando del suo amore per una ragazza siciliana, che si chiama Tonia. Vuole dirci cos’è che l’ha colpita di lei e in generale della Sicilia?

F.C.: A Tonia non ero legato da un profondo amore, ma mi ha colpito da subito la sua dolcezza, timidezza, era una ragazza un po’ sprovveduta alla quale io credo di aver insegnato molte cose… Alla Sicilia in particolare sono molto legato, mi è sempre piaciuta molto, ci sono stato molte volte e ci tornerei volentieri. Sono stato a Palermo, dove ha sede un mio fan club, ma anche in altre città siciliane…la Sicilia è bella soprattutto per la sua storia e per le sue tradizioni.


-In questi anni lei ha scritto tantissime canzoni e anche vari libri. Diciamo che questo è il suo primo libro serio, la sua prima autobiografia. In futuro proseguirà ancora nella sua carriera di scrittore?

F.C.: Si, sono pronto a scrivere un altro libro, credo di avere ancora tante cose da dire…


-Dopo aver fatto il cantautore, l’attore e lo scrittore e dopo aver preso una Laurea ad honorem in Filosofia, quale altra esperienza non ha mai fatto e le piacerebbe fare?

F.C.: Mi sono piaciute tutte le esperienze artistiche che ho fatto sinora…  Mi è piaciuto ad esempio recitare, non ho mai fatto il regista ma non mi piacerebbe farlo… Per un periodo ho fatto il pittore, dipingevo quadri e me la cavavo bene, ero portato, però non ho avuto il tempo per coltivare questa mia attitudine.


-Quali sono i suoi progetti per il futuro?

F.C.: Vorrei continuare a scrivere sia libri che canzoni e fare altre tournée, magari in Sicilia…

(24/03/2013)

Adele Consolo

Tony Sperandeo e Luigi Maria Burruano di nuovo insieme

Pagate fratelli:


 un film su un fatto realmente accaduto, che ci fa riflettere...


  

Il film appena uscito nelle sale, Pagate fratelli, del regista Salvo Bonaffini, approfondisce alcune vicende realmente accadute nel paese siciliano di Mazzarino, che hanno coinvolto negli anni ’60 dei monaci, che hanno fatto da tramite nella richiesta del “pizzo” ad alcuni concittadini. Girato interamente in Sicilia, quasi interamente a Mazzarino, nei pressi di Gela, questo film racconta un episodio di cronaca accaduto tra gli anni '50 e gli anni '60: il processo a carico di quattro frati cappuccini del convento di San Francesco a Mazzarino (in provincia di Caltanissetta), accusati d'omicidio, violenza, estorsione e collusione con la mafia. Dopo un lungo processo e nonostante una sentenza di proscioglimento in 1° grado ottenuta da un tribunale siciliano, i frati furono condannati all’ultimo grado di giudizio presso il tribunale di Perugia, nonostante usufruissero della difesa di due principi del foro.



Il regista Salvo Bonaffini ha ricostruito in un film questa controversa vicenda, lavorando con un cast di attori siciliani molto amati dal grande pubblico, tra cui Tony Sperandeo, Luigi Maria Burruano e Alfredo Li Bassi. Il film ha senz’altro dimostrato che anche nella nostra terra, pur non essendoci i finanziamenti, si può produrre qualcosa di buono a livello cinematografico. Un lavoro non pubblicizzato dalla grande distribuzione e realizzato con molte difficoltà. In particolare, ascoltando le testimonianze di attori e regista, difficile è stato il reperimento dei costumi d’epoca e l’ingaggio di quella parte del cast più nota al grande pubblico. Ciò che più si nota in questa produzione indipendente è la volontà della regia di non perseguire particolari finalità commerciali, di non andare dietro all’ideologia del marketing ma di seguire le proprie emozioni; una storia narrata per passione, col cuore di chi ama la propria terra e desidera svelarne anche gli aspetti più controversi.




Riguardo al film, il regista ha recentemente dichiarato: E’ una storia accaduta nel mio paese, che ha reso popolare Mazzarino affiancato a questa storia dei monaci. Spulciano un poco, leggendo qualche libro, documentandomi su alcuni giornali dell’epoca, mi ha entusiasmato il fatto che dei frati cappuccini, in nome di San Francesco, incominciassero ad essere intermediari tra la mafia ed il popolo, in antitesi a quella che dovrebbe essere la figura di chi riveste un saio”. Inoltre Bonaffini ha aggiunto “All’epoca anche l’opinione pubblica si divise fra innocentisti e colpevolisti, perché questi frati erano amati e avevano molte persone su cui poter contare, una gran parte del popolo che li amava per ciò che rappresentavano. Ho avuto pure la fortuna di intervistare dei poliziotti che seguirono le indagini (hanno circa 97 anni oggi) e raccontano di un carattere di questi frati molto forte, carismatico, convinti di appartenere ad un potere forte e di non poter essere toccati né giudicati. Addirittura, mi raccontava un poliziotto, durante l’interrogatorio uno dei frati si permetteva di prenderli in giro e ripetere di continuo: ‘mi può ripetere la domanda? Non ho capito!’. Un vero e proprio atteggiamento mafioso”. Infine ha precisato: “Dall’altra parte, ho visto quella parte dello Stato –ad esempio il Maresciallo che condusse le indagini, spiega ancora Bonaffini– che ha esercitato una forza positiva, che ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. Un’altra cosa che mi colpì tantissimo è il fatto che il Cardinale Ruffini, massimo esponente della Chiesa siciliana, dichiarò che ‘la mafia non esiste’. Queste cose mi hanno fatto pensare e ritenere che sarebbe stato possibile realizzare un film per far riflettere. Molti mi hanno accusato di volere fare un film contro la chiesa, ma non è assolutamente il mio obiettivo. Non ho nulla contro la chiesa, anche la chiesa, al suo interno, ha uomini giusti e uomini meno giusti; quello che condanno io della chiesa è che non ha il coraggio di fare pulizia al proprio interno, di respingere chi, approfittando dell’istituzione, si comporta male. A tutt’oggi la Chiesa copre reati gravissimi come la pedofilia. Parliamoci chiaro, non è ancora una chiesa aperta, vicina al popolo e ai poveri. Il marcio è in tutti i settori, così come ci può essere il poliziotto o l’insegnante corrotto, troviamo anche “uomini di Dio” corrotti”...

(23/03/2013)
Adele Consolo